martedì 8 maggio 2007

Dor de casă

Ogni fine settimana l'invasione pacifica di stranieri si ripete. Sono quasi esclusivamente donne e fanno quasi tutte le badanti. Arrivano dall'est, soprattutto da Ucraina e Romania.
Il sabato, nel primo pomeriggio la piazza si riempie di piccoli capannelli, ognuno appannaggio di una lingua diversa. Poi, quando aprono i bar del centro, si assiste ad una divisione netta.
Quelle più facoltose si accomodano sui tavolinetti all'aperto a sorseggiare qualche bibita.
Quelle che guadagnano meno (o che semplicemente inviano più soldi in patria) si ritirano sulle panchine del vicino parco ed iniziano ad estrarre dalle borsette succhi di frutta e thermos pieni di brodaglia bollente.
A guardarle fanno compassione, infagottate nei loro vestiti fuori moda. Parlano fitto fitto nella loro lingua madre, libere per qualche ora da un italiano che zoppica e da un dialetto che faticano a comprendere. Raramente si sentono delle risate sotto gli alberi spennacchiati.
Stanno lì sedute delle ore a conversare, a confidarsi problemi e speranze. Di tanto in tanto un bambino passa davanti a quelle panchine ed allora sorridono, mentre il loro sguardo diventa prima benevolo e poi triste. Pensano ai loro figli che hanno lasciato a casa, a migliaia di chilometri di distanza e che rivedranno chissà quando.

2 commenti:

  1. E' un bel quadro quello che fai.
    Molto lirico, molto nostalgico anche.
    Ti consiglio due cose, di forza uguale e opposta, sull'argomento: il film La sconosciuta, di Tornatore, e la lettera che un lettore attento e partecipe ha mandato ieri a Augias, su Repubblica.

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  2. Nostalgico, sì ma forse non nel senso che intendi tu...

    Quelle donne mi hanno fatto tornare in mente racconti di quando i migranti eravamo noi: ad Ellis Island, in Belgio o, peggio, in Svizzera dove vigeva un apartheid ante-litteram...

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