mercoledì 9 maggio 2007

Razzismo e legalità visti da sinistra

Due giorni fa, un lettore di Repubblica si sfogava con una lettera indirizzata a Corrado Augias (clicca qui per leggerla) nella quale metteva insieme diversi problemi: la criminalità straniera dilagante, la reciprocità (se io facessi le stesse cose alla Mecca, a Casablanca o a Bucarest, a cosa andrei incontro?), la paura di essere divenuto razzista, la risposta che la politica di sinistra cerca di dare.
La replica di Augias mi sembra abbastanza approssimativa. Di fronte alle domande dirette, o rispondi altrettanto direttamente o scardini le basi di quelle domande. L'ex-europarlamentare dei DS invece sceglie il metodo politico: svicolare e trincerarsi dietro ad un "la cultura della legalità [...] è ciò di cui abbiamo più bisogno". Che è senz'altro corretto ma non è abbastanza. Necessario ma non sufficiente.
Al lettore di Repubblica adesso proverò a rispondere io, in rigoroso ordine inverso, e con gli strumenti del buonsenso.

Le risposte della politica di sinistra
Il lettore lamentava il fatto che adesso Veltroni si sta comportando come a suo tempo diceva di voler fare Fini, ovvero spostando i campi nomadi fuori del Grande Raccordo Anulare. La sinistra che si comporta da destra. In realtà io non ci vedo niente di strano. Come diceva Otto von Bismark "se ti piacciono le leggi e le salsicce, non guardare mai come vengono fatte". Veltroni, come gran parte dei politici, teme di perdere popolarità, quindi sceglie di assecondare gli umori del popolo anche a costo di rimangiarsi qualche "punto fermo". Qualcuno potrebbe chiamarla realpolitik. A me sembra solo populismo.

Sono divenuto razzista?
Dipende. Basta che il lettore si faccia un rapido esame di coscienza: se, negli episodi da lui raccontati, al posto delle ragazze slave o di colore ci fossero state delle italiane, lui avrebbe reagito allo stesso modo?

La reciprocità
Chi si pone questo problema, a mio avviso commette due errori. Il primo di ordine legale, il secondo di ordine storico.
Innanzitutto, all'interno di uno stato applicare una legge diversa a persone di un altro stato è (questo sì) razzismo. Ma è anche stupidità. Ha senso che uno stato applichi ai cittadini di un altro stato le stesse leggi di cui godono in patria? A chi fosse tentato di rispondere sì, ricordo che sarebbe corretto guardare non solo l'aspetto repressivo ma anche quello dei diritti. Cosicché, ad esempio, per alcuni africani potrebbe essere ammessa la poligamia, oppure, all'opposto, comminata la pena di morte.
L'errore storico invece si configura nel pensare che noi (italiani, europei, occidentali...) siamo migliori o, per lo meno, lo siano le nostre leggi. Certo, magari oggi è così, ma durante il periodo coloniale (durato fino a pochi decenni fa) come ci siamo comportati noi "civilizzati" nei confronti delle popolazioni autoctone?

La criminalità straniera dilagante
Basterebbe ricordare cosa abbiano fatto gli emigranti italiani negli Stati Uniti per mettere nella giusta luce gli episodi odierni. Oppure sarebbe sufficiente ricordare come l'illegalità non sia patrimonio degli stranieri, ma anzi, come questi ultimi siano una sorta di manodopera a basso prezzo per la criminalità organizzata. La verità è che i giornali ed i telegiornali in queste notizie ci sguazzano. La cronaca fa vendere (per una sorta di tara mentale insita nel genere umano, utilissima nella savana ma quantomeno superflua nell'occidente moderno) mentre la paura del diverso (chiamiamola pure con il suo nome: xenofobia) amplifica il potere seducente della notizia.

Il tutto però si riduce ad un problema di fondo: la generalizzazione. Anche questa è una dote indispensabile nella savana. Ma in una società multietnica e multiculturale come la nostra, applicare delle etichette ad interi gruppi umani sulla base del comportamento di alcuni loro rappresentanti è quanto di più sbagliato e pericoloso si possa fare. Bisognerebbe cercare di osservare ogni essere umano per quello che è, che fa, che dice in prima persona e non per il gruppo etnico a cui appartiene. Non è sempre facile, ma se c'è chi ci riesce, significa che non è nemmeno impossibile.

2 commenti:

  1. Sul piano razionale, nulla da dire.
    Su quello viscerale e meramente sensoriale, io so che quando c'erano meno stranieri, c'erano anche meno casini, meno pericoli, meno aggressioni e meno inquietudini.
    E so che girare per certi quartieri di Reggio e non incontrare un bianco per 15 minuti, mi fa sentire meno sicuro.
    Ciò fa di me un razzista? Sì, probabilmente sì.
    Me ne farò una ragione.

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  2. Probabilmente hai tutte le ragioni di sentirti meno sicuro. Ed è altrettanto probabile che tu effettivamente lo sia. Quello che potrebbe fare di te un razzista sarebbe semmai l'associazione automatica straniero=delinquente. Ed è su questa equivalenza che giocano in molti, politici in testa.
    Ed invece i delinquenti sono proprio i politici, quelli che amministrano le nostre città. Non è qualunquismo il mio.
    Ci sono studi che dimostrano che il livello di delinquenza di una zona è direttamente proporzionale al degrado della zona stessa. Abbandonare i quartieri (che siano abitati da stranieri o da autoctoni poco importa) al loro destino produce criminalità e malessere sociale. Poi non ci si dovrebbe stupire delle Banlieu in fiamme...

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